Medicina di oggi e di domani, tra intelligence e cyber security

di Dr.med Emanuela Dyrmishi

“Questa è una minaccia globale, richiede una risposta globale e un’azione rafforzata e coordinata”, ha dichiarato a Davos 2023 Jürgen Stock, segretario generale dell’Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale- Interpol. Negli ultimi anni, l’uso del cyberspazio è cresciuto sempre di più ed è utilizzato come metodo di conflitto sia dai governi che dagli hacker privati. Il mondo 3D come lo conoscevamo fino ad ora è diventato 4D. Sono passati quasi quattro anni da quando il Cyberspazio è stato riconosciuto come l’ultimo spazio dei conflitti alla stessa stregua di terra, aria e acqua. Con l’aumento dell’uso di apparecchiature informatiche, esso sta crescendo in maniera accelerata e ha raggiunto negli anni riconosciuti come “pandemia Covid-19” i livelli che ci si aspettava di raggiungere dopo circa 20 anni. La mancanza di preparazione in termini di infrastrutture e risorse umane per questo fenomeno ha creato le giuste opportunità di hacking e danni a molti livelli. Secondo i dati dell’anno scorso, gli attacchi informatici DDoS (Distributed Denial of Service) sono aumentati del 79% su base annua. L’aumento dell’uso della rete e del cosiddetto Internet of Things – IoT ha reso ogni consumatore e non solo le organizzazioni, un bersaglio per l’hackeragio. Solo nelle prime tre ore del 15 aprile 2023 risultano 138.000.000 attacchi informatici, mentre i paesi più colpiti sono Mongolia, Nepal, Vietnam, Indonesia, Taiwan. Istruzione, spazi governativi, e sanità sono i più danneggiati. Il sistema sanitario risulta così essere progressivamente uno dei più hackerati degli ultimi anni. Gli attacchi consistono sia nel furto di dati sensibili sulla salute dei pazienti sia nel blocco dell’accesso ai programmi che garantiscono il servizio. Riconoscendo questo crescente problema, l’ENISA- L’Agenzia dell’Unione Europea per la Sicurezza informatica nel novembre 2018, ha organizzato in collaborazione con le società mediche europee e i produttori nel campo della sanità elettronica e dei dispositivi medici, il seminario sulla sicurezza informatica in questo campo specifico. Sulla base delle discussioni e delle questioni evidenziate, nel 2019 è stata riscritta la normativa europea in ambito medico, rafforzando la legge sulla Cyber security. Conoscere i dati sanitari importanti di politici o leader è stato utilizzato fin dall’antichità per indirizzare strategie politiche in crisi. Basti ricordare dall’antichità il caso di Alessandro Magno di Macedonia, e oggi i casi più gettonati di annunci sullo stato di salute di Arafat o di Putin. Con la progressiva digitalizzazione delle istituzioni sanitarie e il rapido sviluppo della ricerca e dell’utilizzo dei dispositivi in questo campo, diventa sempre più urgente riconoscere e tutelare questa realtà in continua evoluzione. L’hacking dei dati medici, il collasso del sistema sanitario anche per semplice attacco DDoS o controllo remoto di dispositivi medici si traduce rapidamente in perdita di vite umane, come nel caso di hacking da parte di organizzazioni o privati, sia come semplice ricatto economico ma che può’ diventare rapidamente un “arma” nei conflitti ibridi di oggi. Si pensi al caso più semplice dell’ intervento a distanza nel controllo di un Pacemaker Cardiaco, di un dispositivo di stimolazione transcranica o di una pompa per insulina; molto semplicemente questi si possono trasformare in un’arma non convenzionale. L’hacking del sistema sanitario e la perdita di dati è considerato un fallimento della missione critica dell’istituzione. Anche dopo l’eventuale funzionamento del sistema medico dopo un hacking, rimangono danni a lungo termine: danno d’immagine, danno legale, danno economico. Se dall’indagine, obbligatoria in questi casi, emergesse che l’ente non ha rispettato quanto previsto dalla normativa sulla Cyber Security, i pazienti i cui dati sono stati violati o chiunque abbia subito un danno dall’evento può chiedere un risarcimento all’ente . Ricordiamo l’hack globale WanaCry: il 12 maggio 2017, l’attacco informatico WanaCry si è diffuso in 24 ore a 230.000 computer in tutto il mondo che usavano versioni obsolete del sistema operativo Microsoft Windows XP. Microsoft non aveva rilasciato aggiornamenti di sicurezza per il sistema operativo da aprile 2014, ad eccezione di una patch di emergenza del maggio 2014. Gli hacker inviarono la richiesta di pagamento in Bitcoin a tutte le persone o istituzioni colpite in questo attacco. Il danno è stato più devastante per 40 ospedali del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) in Inghilterra e Scozia, con ripercussioni negative sui servizi ai pazienti e costringendo Inghilterra e Scozia a istituire un piano di emergenza governativo nazionale. Se pensiamo ai Richiedenti Asilo Politico, i dati Sanitari Personali (i dati personali sulla salute e i dati sullo stato clinico sono considerati tali) sono correlati a Dati Sensibili (religione, provenienza, convinzioni politiche o stato politico). Secondo i dati dell’IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) il numero di migranti è triplicato rispetto al 1970 e la Rotta Migratoria Balcanica sta diventando sempre più importante in questo fenomeno. I richiedenti asilo spesso lasciano i loro paesi per convinzioni politiche, religiose o per fuggire ad organizzazioni terroristiche nel loro paese di origine. Riporto l’esempio di tante Giovanni donne soprattutto eritree, che negli ultimi anni hanno chiesto asilo in Europa dopo essere riuscite a sfuggire dai terroristi di Al Shabaab/Harakat al-Shabab al-Moudjahidin, “il movimento dei giovani combattenti”. In questi casi, i dati sanitari comprendono anche dati anagrafici, religiosi, ideologici, familiari, ecc. che è necessario conoscere per curare al meglio il paziente dal trauma subito. Il servizio sanitario, nel caso dei centri per richiedenti asilo, diventa così un duplice bersaglio, sia di hacker “comuni” nel furto di dati, ma anche di hacker istituzionali dei luoghi da cui questi pazienti sono partiti, o di organizzazioni terroristiche . Esistono cinque principi per una solida cultura della sicurezza informatica: a) Trasparenza b) Riconoscimento della responsabilità delle azioni che si compiono c) Adeguata conoscenza del sistema d) Conformità della programmazione informatica della società dove si opera con gli aspetti legali richiesti nel campo pertinente e con le procedure richieste. e) Conoscere i canali di comunicazione formali di un incidente informatico. In termini legali, qualsiasi settore, società, servizio, incluso quello medico, è soggetto alle leggi locali e alle convenzioni sottoscritte. La legge europea sulla sicurezza informatica è una parte specifica dell’ultima versione del GDPR (regolamento generale sulla protezione dei dati), adattata nel 2020. Anche la Svizzera, che non fa parte dell’Unione Europea, ha firmato l’accordo con l’UE e si adegua a questa legge in particolare per quanto riguarda i dispositivi medici. Il GDPR obbliga il servizio medico ad avere un responsabile della protezione dei dati (DPO). La mancanza di tale figura e la mancata attuazione di leggi specifiche in materia, comportano gravi conseguenze legali per i servizi sanitari, come sopra descritto. Negli Stati Uniti, l’Health Insurance Portability and Accountability Act (HIPAA) richiede che tutte le informazioni sanitarie dei pazienti siano protette utilizzando tecniche di crittografia. La globalizzazione ha portato con sé anche lo spostamento di molti servizi sanitari al di fuori del rispettivo paese; ad esempio una società statunitense può aprire una filiale sanitaria all’estero o nell’UE. Fino ad ora, ci sono stati molti malintesi nella giurisdizione riguardante questo campo e che si sono tradotte per queste società in problematiche legali in termini di legalità informatica, non essendo chiaro a quale giurisdizione dovrebbero dovevano essere soggette. Gli ultimi anni hanno fortemente sottolineato l’importanza della chiarezza legislativa a riguardo. Il Centro statunitense per gli studi strategici e internazionali ha sostenuto nel rapporto intitolato “A Human Capital Crisis in Cybersecurity” che il governo degli Stati Uniti aveva accesso solo al 3 -10% dei professionisti della sicurezza informatica di cui aveva bisogno. È innanzitutto imperativo che le organizzazioni dispongano in primis di una chiara gestione dell’identità e degli accessi (IAM). Secondo un sondaggio di Centrify su “Privileged Access Management in the Modern Threatscape”, il 74% delle violazioni della sicurezza dei dati informatici inizia con “l’uso improprio di credenziali privilegiate” (Centrify Corporation, 2019). Anche gli aspetti psicologici sono da tenere in considerazione nell’ approccio alla cibernetica; paura di qualcosa che non possiamo vedere o toccare. La paura è un aspetto biologico, naturale ed innata, che fa parte delle emozioni primarie di diffesa, quindi non è nulla di negativo finché noi stessi non la rendiamo patologica. Concentrandosi sugli aspetti che caratterizzano l’essere umano insieme agli scimpanzé (Human 2008, M. S. Cazzaniga, p 84), la progettualità distruttiva e violento è un aspetto che ci distingue dagli altri esseri viventi. Conoscere questa caratteristica porta come risultato accettabile il fatto che se creo qualcosa, qualcun altro cercherà di rubarla o distruggerlo. La conoscenza di questi fenomeni implica una collaborazione interfunzionale tra competenze; come può un informatico o un ingegnere informatico costruire un dispositivo di Stimolazione Transcranica se non sa perché un medico ne ha bisogno, e come può un medico sfruttare al meglio le potenzialità che l’informatica offre se non ha le conoscenze necessarie? Come in altri campi, condividere conoscenze e confrontarsi crea una sorta di “incrocio genico” per far nascere qualcosa di nuovo, stimoli diversi aumentano la creatività. Partendo dalle conoscenze e dai bisogni in continua evoluzione come ho descritto sopra, i paesi dell’UE e non solo, hanno da tempo istituito dipartimenti di Medical Intelligence (MEDINT); negli USA, NCMI- National Center for Medical Intelligence.

Estrapolato da: – “Cyber Intelligence and Cyber Terrorism in Medical Field” – Balkan Cybersecurity Days (Ohrid, maggio 2023); Relatrice Dott. med Emanuela Dyrmishi

Dr.med Emanuela Dyrmishi Psichiatria e psicoterapia Spec. Psicofarmacologia Spec. Relazioni transculturali Analista in Rischio Economico, Geopolitica e Intelligence Form. Terrorismo e conflitti ibridi Spec. Gestione della sicurezza informatica Spec. Progettazione economica europea e internazionalizzazione.


L’ Afghanistan raccontato nelle opere dell’artista Shamsia Hassani

di Dr.ssa med. Emanuela Dyrmishi

Shamsia Hassani

Il primo aprile 2023 al Castello di Masnago di Varese, splendida cornice per gli amanti della storia e dell’Arte, è stato realizzato un evento unico nel suo genere: l’inaugurazione della Mostra dell’Arti- sta Afgana Shamsia Hassani, su iniziativa della conferenza Donne Democratiche della Provincia di Varese.

I 23 scatti dei suoi murales hanno visto un’affluenza elevatissima, e tante persone sono rimaste in piedi, per assistere alla conferenza dove sono stati portati aspetti della vita storico culturale Afgana sconosciuti all’opinione publica e che i media tradizionali non affrontano.
La conferenza ha portato il pubblico in un’immersione, tramite immagini storiche recuperate dalla mediatrice dall’evento, Dr,ssa med Emanuela Dyrmishi, nella storia e nella geopolitica Afghana dall’antichità al recente passato. Prima come colonia britannica, poi sotto la guida dell’emiro Khan, poi il periodo ad ispirazione Marxista-Leninista, la guerra Sovieto-Afghana, le ricerche ingegneri- stiche sovietiche in territorio Afghano seguite da quelle USA, la prima ascesa talebana al potere, il Trattato di Doha per arrivare all’agosto 2021 e infine lo stato attuale del paese.

L’Afghanistan può essere definito il territorio dove “ Alessandro Magno e Dario III si scontrarono e lì si fermarono” e questo si riconosce nelle Babeliche etnie del popolo Afghano, dove si intrecciano nei tratti fenotipici est e ovest.
Nello scrivere Est e Ovest sorge spontanea la domanda:

– Ma Est e Ovest di cosa?
La risposta che sorge altrettanto spontanea è l’est e l’ovest dell’Eurasia…si dell’Eurasia, perché quello che abbiamo accettato come definizione di Continente è Eurasia, e non Europa e Asia. Eppur abbiamo portato avanti per secoli una divisione artificiale, probabilmente che è anche espressione dell’espressione geopolitica Europea, quella proprio divisoria; come il celeberrimo trattato di Sykes Picot prima nel 1916 e la Linea Durand dopo (o Linea Zero) che creò una sorta di Stato Cuscinetto nel conflitto geopolitico Britannico-Sovietico dell’epoca. Beh, non serve un filologo per comprendere che sia il Trattato che la Linea non portano nomi Afghani…e le conseguenze di tali decisioni si vivono tuttora non solo in Afghanistan ma anche in Siria, Pakistan, Iraq e più largamente nelle zone toccate da tali decisioni arbitrarie di timbro Europeo.

Ad introdurre la Mostra nata dalla necessità di non lasciar cadere nel dimenticatoio la situazione attuale Afgana, sono state la portavoce delle donne DEM Francesca Ciappina e Rossella Dimaggio, assessora del Comune di Varese. Sono intervenuti nel dibattito diverse personalità Afghane e non, che hanno portano il loro pensiero e testimonianza:

Jamileh Amini, interprete e mediatrice interculturale (SOS Ticino) e interprete presso la Protezione Giuridica di Chiasso. Lavora come operatrice sociale presso in Centri di Accoglienza della Croce Rossa Ticino, studente della Supsi in Cooperazione sviluppo. Nel 2021 ha fondato l’Associazione Comunità Afghana in Ticino che ha tra gli obiettivi quello di aiutare le famiglie costrette a vivere in Afghanistan in condizioni estremamente precarie. L’Associazione è particolarmente attiva nella difesa dei diritti del popolo afghano e nel portare aiuti umanitari.

Avendo vissuto in prima persona l’ultimo decennio di cambiamento nello Stato Afghano, ha raccontato con un evidente coinvolgimento emotivo anche il viaggio, che spesso dura tre anni, attraversando culture e confini dove spesso i migranti diventando un arma usata dagli Stati come mezzo di ricatto di instabilità geopolitica ed economica gli uni con gli altri.

Ilaha Mezaary, nata a Mazar i Sharif, è arrivata in Italia all’età di 11 anni. È attualmente studentessa della Facoltà di Giurisprudenza a Milano, mediatrice linguistica e culturale e presidentessa dell’associazione culturale afghana di Varese. L’associazione porta avanti molti progetti di solidarietà collaborando con altre realtà del territorio, in particolare ha organizzato diverse cene di tradizione afghana nel corso delle quali sono stati raccolti fondi e inviati in Afghanistan. Entrambe le presidentesse hanno portato la testimonianza di un aiuto concreto alla popolazione afghana che è stato accolto con interesse partecipativo da parte dei presenti.

Farhad Bitani, nato a Kabul , è uno scrittore italiano di origine afghane, fondatore del Gaf – Global Afghan Forum, organizzazione no profit volta a creare progetti di formazione e crescita sociale in Afghanistan. Ex capitano dell’esercito afghano durante la missione ISAF, nel 2012 ha deciso di abbandonare le armi per dedicarsi al dialogo interculturale e interreligioso in Italia, dove oggi vive e lavora. Nel 2011 ha subito un attentato da parte dei talebani a Kabul ed è rimasto gravemente ferito. Sopravvissuto miracolosamente all’accaduto, ha deciso di lasciare la carriera militare e il suo paese e ha cambiato la sua vita. Da questo periodo di riflessione sono nati gli appunti e i racconti che sono diventati poi il libro l’Ultimo Lenzuolo Bianco (2014), successivamente adattato per il teatro da Roberta Colombo, e portato davanti al publico con successo in molte scene. Nel 2021 è uscito il suo secondo libro ADDIO KABUL, scritto assieme al giornalista Domenico Quirico, ed. Neri Pozza.

Helin Yildiz, consigliera del Comune di Varese ha parlato dei diritti e della libertà delle donne di tuto il mondo tramite l’esempio delle Donne Curde del Rojava e non solo, contro il DAESH. Il Rojava è nato nel 2011 dopo l’inizio della guerra civile siriana, quando le truppe dell’esercito governativo del presidente Assad, hanno abbandonato le regioni di Kobane, Afrin, e Jazzera e sono state sostituite dalle milizie di difesa messe in piedi dal popolo stesso composte in prevalenza da combattenti curdi ma in cui militarono anche altre etnie che vivono nella regione. Queste regioni confluirono a costituire il Rojava. Nel 2013 e 2014 il Rojava è stato attaccato dai miliziani dello Stato Islamico ISIS, o DAESH come viene chiamato dagli abitanti delle regioni in questione di Siria ed Iraq. La resistenza delle milizie del Rojava ha portato alla prima sconfitta dell’ISIS nella città di Kobane e successivamente all’ annientamento dello Stato Islamico.

Il dialogo è stato mediato dalla Dr.ssa Emanuela Dyrmishi che ha alle spalle molti anni di esperienza in Psichiatria e psicoterapia con focus in migrazione e ricerca clinica, come referente per la migrazione in Ticino in Psichiatria, non solo in ambito clinico ma anche medico legale pertinente. Durante il suo lavoro, ha potuto “toccare” personalmente la storia, cultura e la gente Afghana nelle sue moltiplici sfaccettature etniche e culturali; gli uomini, le donne, i bambini e tanto altro, i talebani e l’orrore dei Bacha Bazi o Bacha bi-reesh una forma di Schiavitù e Violenza sessuale sui bambini che si è molto diffusa già dalla prima ascesa talebana.

Continua il suo lavoro come docente e consulente di ” Prevenzione Risoluzione Conflitti” in ambiti internazionali intrecciando intercultura, psiche e geopolitica. La conoscenza grazie al proprio lavoro di persone provenienti da quasi tutti i continenti, e conseguentemente del funzionamento degli Stati di provenienza l’ha spinta alle successive specializzazioni in Relazioni Transculturali, poi Analista di Rischio Economico Geopolitica e Intelligence con focus in Migrazione e Terrorismo e infine come Specialista di Politiche Economiche e di Sviluppo dell’UE ( compreso politiche migratorie, inclusività , parità di genere). Sempre in ambito internazionale, Specializzata in Cybersecurity, è Consulente per lo sviluppo della Cybersecurity nei paesi in via di sviluppo.

Cenni sull’Afghanistan

La repubblica Islamica dell’Afganistan è una repubblica presidenziale di circa 40 milioni di abitanti di cui circa 4 milioni popolano la capitale Kabul. Dall’ultima stima del 2008 le maggiori etnie che compongono la popolazione sono così suddivise: Pashtun 42%; Tagichi 27%; Hazara 9% , Uzbechi 9%, Aimak 4%, Turkmeni 3% , Beluci 2 %, i nomadi kuchi, nel 1979 erano circa 1,5 milioni. Secondo queste stime, la maggioranza degli abitanti nel nordest è costituita da tagichi nel centro nord , hazara e uzbechi, nel sud e nell’est da pashtun.

I conflitti che si succedono dagli anni 1970 hanno spesso acuito i contrasti tra comunità, complicati anche dall’arbitraria divisione confinaria decisa dai Britannici nel 1893 con il tracciamento della Linea Durand, che tuttora demarca i 2.640 chilometri di confine tra Afghanistan e Pakistan. Il successivo trattato di Sykes Picot del 1916 unì e divise ulteriormente acuendo la conflittualità, in quei confini che con naturalezza le vicinanze storico culturali avevano portato ad esistere.

L’indipendenza effettiva dal Regno Unito arriva nel1919: sotto la guida di Amanullah Khan che porta avanti le politiche di progresso socio economico industriale nel paese. Nel 1978 viene proclamata la Repubblica Afgana di ispirazione Marxista-Leninista ma tra gli anni 1979-89 arriva la guerra Sovieto-Afgana che si spegne solo agli albori della Guerra del Golfo.

Durante gli anni del conflitto Sovieto- Afgano le ricerche sovietiche hanno portato alla luce le ricchezze del suolo afgano. Nel 2001 gli Stati Uniti invadono il paese e tecnici statunitensi hanno approfondito le ricerche sovietiche, in più di 2/3 del territorio afgano.
Il Paese è ricco di ferro e rame, con riserve di rilevanza assoluta di niobio e litio, i giacimenti di argento invece sono presenti nei pressi di Kabul. L’Afganistan potrebbe quindi diventare molto rilevante a livello mondiale per tali materiali, materie prime che scarseggiano e che hanno spinto la ricerca negli ultimi decenni verso l’Artico. Nel 2020 arriviamo all’Accordo di Doha che anticipa a livello politico l’ ascesa dei Talebani nel agosto 2021.

Dr.ssa med. Emanuela Dyrmishi
Psichiatria e Psicoterapia
Spec. Psicofarmacologia
Spec. Relazioni Transculturali
Analista in Rischio Economico Geopolitica e Intelligence
Form. Terrorismo e conflitti ibridi
Spec. Progettazione Europea e Internazionalizzazione
Spec. Cybersecurity managing risk

“Malavita” e “Malamusica”: il mal Cantico del Sud

Con questo titolo dato alla tesi di Laurea, ho voluto prendere in considerazione il rapporto tra il “Fenomeno neomelodico e la Criminalità organizzata”, ossia il rapporto con Camorra, Mafia e ‘Ndrangheta, per porre l’attenzione su indagini, collegamenti e correlazioni, e per giungere infine al “malaffare” ossia i traffici illeciti e l’economia sommersa che ruota attorno.
Ho rappresento questo rapporto come un percorso figurativo che attraversa tre regioni: la Campania, la Sicilia e la Calabria, accomunate da bellezze naturali e paesaggistiche, un vero paradiso terrestre, contaminato però da diavoli con le sembianze di angeli, che tali vogliono apparire con il loro canto, il canto delle sirene.
Un canto delle sirene che spettacolarizza il mondo criminale divenuto uno stile di vita, basti pensare al matrimonio tra Tony Colombo e Tina Rispoli, e le successive ospitate da Barbara D’Urso su Canale 5.
Per lo storico Marcello Ravveduto «la spettacolarizzazione della Camorra è diventata un brand patinato in cui il benessere derivante dal narcotraffico si trasforma in una moda trendy da seguire attraverso l’ostentazione del lusso, lo storytelling narcisistico del selfie e gli hashtag mafia, narcos, cartel e così via».

Neomelodico e Camorra
La Commissione Parlamentare Antimafia nel 2000, nella Relazione sullo stato della criminalità organizzata in Campania menziona i rapporti tra neomelodici e malavita organizzata lasciando intendere che i rapporti sono congeniti e profondi e che il fenomeno ruota attorno all’asse-camorra, definendo il neomelodico mediocre come un Pit bull da combattimento nelle mani della camorra.
Peraltro aggiunge che molti cantanti sono vittime dell’usura e della droga, e il vizio che li rende schiavi costringe molti di essi a prestazioni incessanti per far fronte ai debiti ed all’uso di stupefacenti.
Che la droga sia dunque uno dei principali canali di connessione tra musica neomelodica e camorra, è scontato, ma va anche rilevato, come afferma nel 2012 Amato Lamberti, il giro d’affari che ruota attorno al mercato neomelodico, stimato dagli esperti non meno di 200 milioni di euro annui, rigorosamente in nero, «e che aggiornando debitamente le cifre, oggi potrebbe essere lievitato
cinque volte tanto» .

Neomelodico e Mafia
Il percorso poi raggiunge la Sicilia per una questione di affiliazione linguistica che lega cantanti napoletani e siciliani; questi ultimi cantano tutti rigorosamente in napoletano. Il motivo di questa affiliazione va ricercata nel percorso fatto dai due mondi criminali, Cosa Nostra
e Camorra, percorso che ha dato luogo a inevitabili contaminazioni, conseguenza di alcune vicende, che hanno accomunato i quartieri periferici delle due grandi città del Sud .
E difatti nei quartieri di Palermo, dove più si canta in napoletano, risiedono tante famiglie che nel passato hanno avuto a che fare con il contrabbando di tabacchi e con altri traffici illeciti che li legava a doppio filo alle tante famiglie residenti nei quartieri popolari di Napoli, e questa condivisione dei traffici illeciti è divenuta anche affiliazione linguistica di quella musica che racconta le gesta dei malavitosi, il carcere, i latitanti, i pentiti e quanto altro. Il collaboratore di giustizia Sebastiano Arnone, appartenente alla famiglia mafiosa di Partanna
Mondello, il data 17 Giugno 2011 racconta ai magistrati della DDA di Palermo che le feste di piazza, dove intervengono cantanti napoletani, vengono gestite da Cosa Nostra; il capofamiglia decide dove il cantante andrà ad esibirsi, quale sarà il guadagno ed infine le modalità di pagamento.

Neomelodico e ‘Ndrangheta
Infine il percorso termina in Calabria, dove la ‘ndrangheta, divenuta fenomeno transnazionale per le sue capacità di espansione e colonizzazione sociale, economica e politica, è riuscita a veicolare all’estero e in primis in Germania, il messaggio tranquillizzante che i canti di ‘ndrangheta sono retaggio di una cultura popolare e folcloristica, di un passato che rischia di scomparire, e che quindi
la ‘Ndrangheta è una cultura tradizionale che appartiene solo alla Calabria, ovvero una cultura tipica che non può attecchire da nessun’altra parte.
Una vera e propria operazione mediatica per normalizzare l’illegalità e per integrarsi nel tessuto sociale, economico e culturale senza nulla dare a vedere, tutto alla luce del sole.
Al di là degli intendi della ‘ndrangheta, gli intendi apologetici dei canti sono palesi, tant’è vero vero che nella canzone “Ammazzaru lu generali”, con riferimento all’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il testo della canzone termina con la strofa che esplicitamente esalta l’onnipotenza della mafia: “La mafia comanda sempre e solo lei può andare avanti”.

Conclusioni
La critica che spesso viene rivolta ai cantanti di “malamusica” è quella di intonare versi contro le forze dell’ordine e i collaboratori di giustizia, e di veicolare messaggi criminali tra i più giovani con il chiaro intento di fare proselitismo mafioso. Ad oggi però, il reato di apologia manca per la mafia, e proprio dall’esigenza di fermare questi messaggi, nel 2021 è stata presentata una proposta di legge
con cui viene richiesta la modifica dell’Art. 414 del codice penale per prevedere l’aggravvante dell’istigazione o dell’apologia della Mafia; disegno di legge di cui ancora non è iniziato l’esame.
L’ultima considerazione tiene conto del fatto che sebbene la “malamusica” sia un sottogenere del genere neomelodico, ne rappresenta comunque il fenomeno più appariscente in termini sociali e culturali, pertanto, come ammonisce Roberto Saviano: «Guardarli e ascolarli significa guardare e ascoltare il proprio paese. E per quanto possa sconvolgerci non possiamo più ignorarlo».
E quindi non possono essere ignorate le responsabilità di un modello educativo che coinvolge, direttamente e/o indirettamente, la famiglia, la scuola e lo Stato: in Italia quasi il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale.
Se migliaia di giovani sono i consumatori di un simile mercato musicale, sub culturale, tanto sta a significare che qualcosa non ha funzionato e non funziona nel sistema scolastico nonché educativo familiare, in mancanza peraltro di politiche sociali che dovrebbero essere rivolte verso i più giovani.
Non ignorare significa osservare questa sub cultura non solo con l’occhio del giudizio ma anche con lo sguardo educativo teso a conoscere per poter debellare quei virus che si annidano nei testi e nelle note della musica, potente espressione del pensiero che però può anche veicolare modelli diseducativi per la formazione dei più giovani.

Il Dalai Lama sfida apertamente Pechino

Giù le mani dal Tibet. Il Dalai Lama lo ha detto molte volte e ripetuto in numerose forme, ma nella guerra pacifica che conduce contro il regime comunista cinese forse la frase non l’aveva mai pronunciata in modo così chiaro. Lo ha fatto l’8 marzo, quando ha voluto un bimbetto mongolo di otto anni a fianco del proprio trono durante l’importante cerimonia del potenziamento Chakrasamvara, che fornisce le condizioni atte a legare la mente di chi lo riceve allo stato di illuminazione spirituale. Durante il viaggio che compì in Mongolia nel 2016 il Dalai Lama aveva riconosciuto il piccolo come la nuova reincarnazione di una delle figure più importanti del buddhismo “cugino” mongolo, ma non è affatto un semplice aneddoto di folklore religioso: è un gesto di sfida aperta a Pechino, e duplice.

Anzitutto il riconoscimento del bambino operato dal Padre indiscusso della nazione tibetana viola apertamente quella direttiva paradossale, ma significativa, con cui il Partito Comunista Cinese ateo, che quindi non crede né alla reincarnazione né ad alcun soprannaturale, ha avocato a sé il diritto di stabilire chi abbia il permesso di reincarnarsi, raggiungendo il ridicolo attraverso l’emissione di un permesso di Stato. In secondo luogo, il ragazzino scelto dal Dalai Lama è stato riconosciuto come la decima reincarnazione di Khalkha Jetsun Dhampa Rinpoche, uno dei leader maggiori del buddhismo mongolo, capo della scuola spirituale Gelug (la stessa di cui è vertice il Dalai Lama) in Mongolia.

Ora, il buddhismo mongolo altro non è che una variante locale del lamaismo tibetano, ma soprattutto costituisce la vera identità di un popolo diviso fra Mongolia indipendente, già costantemente sotto le grinfie del comunismo vuoi sovietico vuoi maoista, e Mongolia cosiddetta interna, inglobata dalla Cina. A suo tempo i sovietici compirono massacri a nord nel tentativo di sradicarne l’anima religiosa; dal 1959 a oggi i cinesi vi perpetrano a sud un genocidio culturale che mira alla pulizia etnica come in Tibet e nello Xinjiang degli uiguri.

Uno dei perni del buddhismo tibetano e mongolo è il lamaismo, e questo si regge tutto sulla dottrina della reincarnazione. Pechino sa perfettamente, e lo ha sperimentato negli anni, che chi riesce a controllare la religione dei tibetani, alternando il bastone della repressione aperta alla carota dell’infiltrazione subdola, controlla l’intero popolo del Tibet. E sa pure benissimo che, per chiudere la partita, il modo migliore è addomesticarne la persona di riferimento. Ma se nei decenni il Dalai Lama è riuscito a sottrarsi all’abbraccio mortale del comunismo cinese, la pantomima sui lasciapassare per reincarnarsi concessi ai lama graditi al regime è in realtà solo un tentativo per accerchiare il Dalai Lama, in attesa di imporre il suo successore.

Il buddhismo tibetano e mongolo crede che tutti gli esseri senzienti si reincarnino in base a come abbiano condotto la vita precedente, ma pure che il Dalai Lama e altri spiriti illuminati possano guidare il corso delle reincarnazioni. Il Dalai Lama può allora anche scegliere di non reincarnarsi, e qui alla Cina verrebbe a mancare un’arma formidabile di ricatto e di repressione. Se invece scegliesse di reincarnarsi, i leader della religione tibetana dovrebbero individuarlo attraverso valutazioni delicate e grazie alle indicazioni lasciate dal Dalai Lama precedente stesso, oggi il XIV. Se un domani Pechino riuscisse a condizionare il processo di riconoscimento, il XV Dalai Lama sarebbe una pedina del regime dai poteri speciali. Un fantoccio che costringesse i tibetani a sottomettersi al PCC spaccherebbe infatti i fedeli fra chi obbedirebbe per lealtà a un impostore, pur vedendo l’inganno, e chi denuncerebbe la farsa, provocando divisioni letali. Ma, disobbedendo platealmente ai diktat del regime, il Dalai Lama ha anticipato Pechino, ristabilendo il primato della religione sulle manovre assolutistiche dell’ideocrazia comunista e mandando un messaggio inequivocabile a tutti.

La cerimonia preliminare del potenziamento Chakrasamvara, durata due giorni, è avvenuta a  Dharamsala, il “piccolo Tibet” che vive in esilio in India dal 1959, allorché l’Esercito cinese completò l’occupazione militare di un Paese un tempo indipendente. Vi hanno partecipato circa 5mila monaci buddhisti provenienti dai Paesi più diversi, evidenzia Vijay Kranti, giornalista indiano specialista di cose tibetane. Quando, prima o poi, il bambino verrà intronizzato ufficialmente nel suo ruolo, sarà il punto di non ritorno. Gli occidentali non avvezzi ai modi dell’Oriente potrebbero non cogliere fino in fondo la profondità del gesto compiuto dal Dalai Lama. Fa pensare a una variante orientale della profezia di Virgilio: l’avvento di un bimbetto mongolo già colpisce al cuore il drago rosso comunista, e rinnova il tempo.

Marco Respinti è direttore responsabile del quotidiano online in lingua inglese “Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights