Intervista – 2022 –Analisi delle donne all’interno del mondo della jihad – International Team for the Study of Security (ITSS) – https://www.youtube.com/watch?v=00BjW_g6ASc
In Afghanistan l’inverno è arrivato o, forse, non se n’è mai andato. Nel paese si sta assistendo ad una delle crisi umanitarie più difficili degli ultimi anni. Non solo povertà estrema, denutrizione, diritti negati, ma anche un’ondata di gelo a -36 gradi che sta mettendo in ginocchio la popolazione.Sui giornali qualche spot in riferimento alla chiusura delle università, ai manichini con le teste mozzate nelle vetrine, alle donne che non possono più lavorare nelle Ong. Eppure sembra esserci di più. Nelle scorse settimane Amina Mohammed, vice Segretario Generale dell’ONU, ha incontrato i principali governatori delle province afghane ottenendo qualche “strappo alla regola” rispetto alle nuove leggi. Che una donna abbia affrontato a quattr’occhi i talebani è già una notizia, eppure l’attenzione dei media sembra focalizzata su altro, districandosi maldestramente tra una fake news e l’altra. Ma cosa sta accadendo davvero in Afghanistan sul fronte dei diritti e degli aiuti umanitari?
L’abbiamo chiesto a Farhad Bitani, scrittore, ex capitano dell’esercito afghano e fondatore di Gaf Global Afghan Forum.
In Afghanistan stiamo assistendo ad una situazione di emergenza umanitaria su più fronti: un inverno gelido, con temperature fino a -36 gradi, che non fa altro che peggiorare la fame e la crisi economica del paese. Gli aiuti delle ONG pare siano messi in difficoltà anche dal recente divieto delle donne di lavorare. Quanto incidono le decisioni dei Talebani in questa crisi?
“L’Afghanistan sta affrontando una delle peggiori crisi umanitarie di sempre, ma non possiamo addossare tutta la colpa ai talebani. La verità è che anche l’Occidente ha le sue colpe. Le donne non hanno diritti, è vero, ma in realtà non li hanno mai avuti realmente. Nel profondo, all’interno delle case, fuori dalle sedi istituzionali di Herat e Kabul, lontano dai riflettori, le donne vivevano una realtà molto simile a quella odierna. Sicuramente il divieto di lavorare ha privato le Ong di forza lavoro, ma è anche vero che l’impegno umanitario verso l’Afghanistan, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e l’uscita degli americani, è già drasticamente cambiato di per sé. Quando si minaccia di ritirare gli aiuti umanitari dall’Afghanistan, pensando che questo ricatto possa in qualche modo scuotere l’animo dei talebani, si va completamente fuori strada. E anzi, si fa solo il male della popolazione. Perché i talebani sono pieni di soldi e possono arrangiarsi anche a -36 gradi. Se i governi occidentali avessero davvero a cuore la situazione in Afghanistan farebbero quello che da mesi tutti gli afghani emigrati, comprese le stesse attiviste afghane, hanno suggerito: mettersi davvero a contrattare con la parte più moderata dei talebani e trovare delle soluzioni. Cosa che ha fatto pochi giorni fa anche Amina Mohammed, vice Segretario Generale dell’ONU, sedendosi assieme ai principali governatori talebani. Di fatto, pochi ne parlano, ma grazie a questi incontri è stata fatta un’eccezione per le donne che lavorano nella sanità e nell’istruzione primaria, permettendo loro di riprendere le proprie attività lavorative. Ma come al solito l’Afghanistan è vittima di un sempre più fazioso e corrotto sistema di informazione; e i media raccontano un po’ quello che vogliono.”
E’ di pochi giorni fa anche la notizia, subito ritirata, dei presunti pagamenti elargiti dal Qatar al governo afghano per arrendersi ai talebani. Era una fake news?
“Assolutamente sì. E la cosa ha creato anche diversi problemi a persone dell’ex governo afghano.”
Ha citato Amina Mohammed, vice Segretario Generale dell’ONU, che è appena tornata da un viaggio di due settimane in Afghanistan dove ha incontrato i governanti talebani di varie province. L’incontro aveva lo scopo di instaurare un dialogo con la parte più moderata, al fine di aiutare le donne a recuperare i diritti fondamentali. Cosa ne pensa della posizione di Amina Mohammed? Anche lei ritiene sia necessario non smettere di dialogare?
“Il dialogo è importantissimo e resta l’unica strada percorribile. Aprire trattative con l’oro è l’unico modo per aiutare davvero le donne a riprendersi i diritti e la situazione umanitaria a migliorare. I talebani sono appoggiati da grand parte del paese, e da molti stati importanti, come la Cina, dunque è impensabile ricattarli o cambiare la situazione con la forza. Le donne afghane in occidente dovrebbero rappresentare il proprio paese e avere un ruolo attivo nelle trattative, proprio come sta facendo Amina Mohammed. Che una donna abbia parlato ad una stanza piena di uomini (talebani) costretti ad ascoltarla è già un passo enorme.”
Il riconoscimento dei talebani come leva per contrattare sui diritti è un altro aspetto sottolineato da Amina Mohammed. Cosa ne pensa?
“Sono assolutamente d’accordo. I talebani vogliono essere riconosciuti dal mondo. E questo è un punto fondamentale per contrattare. Che piaccia o no, ormai i talebani governano il paese e hanno il supporto della maggior parte della popolazione. Riconoscendoli e allacciando rapporti con gli esponenti del governo occidentale si potrebbe aiutare concretamente la popolazione.”
La prima parola del Corano rivelata al Profeta Maometto è stata ‘leggere’. Senza contare che la prima moglie del Profeta era una donna d’affari. Sembra che la posizione del governo talebano nei confronti dell’istruzione delle donne e del lavoro non abbia molto a che fare con il vero Islam. E’ così?
“Il Corano si apre con la parola “Ekra” che significa “leggi”. Per la religione dell’Islam l’istruzione e la libertà della donna sono fondamentali. Infatti il problema non è la religione, ma il potere. Dove c’è criminalità è perché non c’è istruzione, e dove non c’è istruzione è più facile mantenere il controllo sulle persone. Manipolarle. Lascia la gente ignorante e crederà a tutto ciò che gli racconterai! I talebani affermano pubblicamente di vietare l’istruzione alle donne per proteggerle, ma il motivo è legato più che altro al potere. Inoltre non tutti i talebani la pensano allo stesso modo. E’ importante sottolineare che all’interno del governo talebano ci sono molte fratture. Lo stesso Sher Mohammad Abbas Stanikzai, attuale Ministro degli Affari Esteri, si è opposto perché vorrebbe che le sue figlie proseguissero gli studi. E’ necessario quindi dialogare con quest’ala più moderata dei talebani e aprire partnership per le borse di studio, far si che le ragazze possano accedere alle scuole anche in Europa, ma non di nascosto, in comune accordo con il governo talebano. E per far questo bisogna riconoscerli. In Iran stiamo assistendo ad una grande rivoluzione, a forti proteste, soprattutto ad opera delle donne e dei giovani. Nonostante l’Iran sia un paese fortemente fondamentalista, questo è possibile grazie all’istruzione: i nuovi giovani iraniani lottano perché hanno avuto accesso alla conoscenza, hanno scoperto che esiste la libertà di scelta e di vita, e non hanno intenzione di tornare indietro.”
E’ importante che paesi musulmani come Turchia o Arabia Saudita facciano pressione al governo talebano sulla questione della libertà d’istruzione? Che il mondo musulmano sia unito su questo fronte potrebbe fare la differenza?
“A mio parere è impossibile che il mondo musulmano possa unirsi. I paesi musulmani tra di loro sono troppo diversi e, soprattutto, hanno interessi diversi. Gli wahabiti, ad esempio, come l’Arabia Saudita, non aiuteranno mai un paese come l’Afghanistan: troppi interessi ed equilibri da tenere con paesi come gli USA.”
Ad agosto 2021 l’Afghanistan era tornato sulle prime pagine. I tg e i programmi televisivi facevano a gara per avere gli afghani ospiti in tv. Eppure oggi, nonostante la crisi umanitaria stia toccando davvero il fondo, sembra che la questione afghana sia ripiombata nel dimenticatoio. Forse una sconfitta che l’occidente vuole solo lasciarsi alle spalle. Oggi sotto i riflettori c’è l’Ucraina, e molti parlano di un altro Afghanistan. Cosa ne pensa della decisione di ospitare in diretta tv il presidente Zelensky al Festival di Sanremo?
“E’ pura propaganda. La politica estera dell’occidente, purtroppo, ha sempre degli interessi. Non si fa mai niente per niente. Mi ricordo ancora la prima volta che Karzai andò in America: le sale istituzionali si alzavano in piedi applaudendo, era l’ospite d’onore. Era l’uomo dell’anno, un po’ come Zelensky adesso. Io credo che in un momento come questo, con un clima ancora caldissimo e la guerra in essere tra Russia e Ucraina, ospitare ad un festival come Sanremo il presidente di uno dei due paesi in conflitto sia totalmente fuori luogo. E’ una chiara strumentalizzazione, un copia incolla del modus operandi degli americani con il videomessaggio in diretta ai Golden Globes. L’ennesimo esempio della deriva dell’informazione della maggior parte dei media occidentali, la spettacolarizzazione di questioni importanti come la guerra e i morti. Ma io credo che l’interesse ad ospitare Zelelnsky vada al di là di un sostegno simbolico. Ci sono interessi più pragmatici. E’ banalizzare una tematica delicata come la guerra, è renderla show, partita di calcio, con il pubblico che tifa per quello piuttosto che per quell’altro… Ma con la guerra, le armi, e i giovani che muoiono non ci sono vincitori. Perdiamo tutti.”
Every year, Kashmir solidarity day is observed on the 5th of February to showcase Pakistan’s support to the Kashmiris. Students from government and military-owned schools and government officials are coerced to organize rallies on the occasion. Non-compliance with the directive results in disciplinary action against them. In the last six months, both Gilgit Baltistan and so-called Azad Kashmir witnessed violent protests, this time targeting the Pakistan Army. The latest incident took place in December 2022, when locals in Gilgit protested unfair taxation and land-grabbing efforts by the state. Protests were staged by affectees of the Diamer Bhasha Dam project who are yet to receive compensation for their lands/properties acquired by the government. Only a few years ago, the entire nation had been galvanized by the Chief Justice of Pakistan to crowd-fund the Dam project. The resulting financial irregularities have raised fresh questions on the intent of the former CJP after a parliamentary committee summoned him to seek more detail on the Dam Fund. These developments symbolize the irony behind Pakistan’s so-called solidarity with the Kashmir cause. Ever since the army’s interference in national politics came under severe criticism after Imran Khan’s recent ouster, simultaneous questions were raised on its seriousness about Kashmir.
Over these decades, swathes of unclaimed land (historically known as Khalisa Sarkar) have been illegally occupied by the Pakistani army and government. Illegal occupation has increased over the last decade in the garb of security for CPEC and countering foreign intrigue. The extended families of senior bureaucrats and army officers have set up hotels, and businesses and even obtained domiciles as residents of Gilgit Baltistan. In recent years, the Pakistan Army and paramilitary forces have illegally occupied land in the following places in Gilgit, namely, Sakwar, Maqpondas Naltar and Danyore-Oshkandas junction. When the people of Gilgit Baltistan revolted against the government in freezing winters, pro-Pakistan handled trended details of the winter sports festivals in Gilgit to prevent international attention. At a time when mainstream media refused to cover these events, activists took to Twitter Spaces sharing their struggles and oppressive state policies.
In the last five years, there is a visible change in the nature of protests in Pakistan-occupied Jammu Kashmir. Today, the emphasis has shifted from administrative grievances towards more important questions of identity and comparisons with better conditions in Indian Jammu and Kashmir. This consciousness has long been in the making, especially in the aftermath of the anti-Shia riots of 1988 (which were engineered by General Zia ul Haq and executed on the ground by then Brigadier Pervez Musharraf). Later, the world saw innocent men from the Northern Light Infantry used as cannon fodder on Kargil heights. It is an open secret that the Pakistan Army refused to accept the dead bodies of several Gilgiti soldiers after the war.
Despite these atrocities and the state’s active role in deepening sectarian fault lines, the residents of GB have refrained from communalizing their grievances and have chosen the nationalist path to express their demands. The state’s standard response to rising nationalist sentiment was that of imposing repressive colonial measures by invoking Schedule 4 of the Anti-terror Act. Even those activists who tried to bring the people of GB and so-called Azad Kashmir under a common political umbrella were not spared. Expected but unbeknownst to Indians, the people of GB have always looked up to the Ladakh development model as a benchmark to be achieved. Since the Pakistani Media refuses to report on the prevailing challenges in the region, the Pakistani government’s response to developments in the region is mostly determined by the magnitude of coverage by the Indian media.
In the name of political empowerment, successive governments have only given cosmetic reforms to the region. It is the Prime Minister-led GB council and not the GB Legislative Assembly that exercises de facto control over the region. Lately, there have been reports that wheat subsidy and quota allocated to the region may be withdrawn, furthering the anxiety among locals. In the winter of 2017, GB witnessed similar protests demanding the withdrawal of taxes announced by the government. The State of Pakistan wants to treat the people of the region as equal tax-payers without granting them commensurate constitutional rights. Pakistan is passing through a severe economic crisis and it is left with no other option other than curbing subsidies and raising revenue even from the areas that have remained at the margin ever since its inception. On the upcoming Kashmir Solidarity Day, both civilian and military establishments must introspect that it is not the Kashmiris who need support but the oppressed people of PoJK and Gilgit Baltistan. Giordano Lavoratore, giornalista ed analista politico, si occupa di diritti umani e libertà religiosa nel contest asiastico